Ecco a voi una parte più incentrata sull’ambiente e la politica energetica in generale
Se avessimo delle centrali funzionanti in Italia, le radiazioni assorbite dagli abitanti della penisola superebbero le dosi attuali?
Risposta breve
Ogni centrale nucleare ed in generale ogni impianto che tratta radioisotopi (anche gli ospedali) rilascia nell’ambiente radionuclidi. Questi però sono rilasciati sempre in quantità regolamentate perchè non superino i valori massimi stabiliti per legge e ritenuti non nocivi dalla comunità scientifica internazionale. Le misure che sono state eseguite dal governo tedesco riferiscono contributi inferiori allo 0.5% rispetto alla dose naturale media, corrispondenti a circa 1 viaggio intercontinentale A/R.
Risposta lunga
Per un abitante europeo i contributi della dose naturale (vedi domanda cos’è la dose) assommano in media a 2-3mSv annui, con oscillazioni comprese fra 1.2 e 4.6 mSv per il 95% della popolazione, provenienti da fonti naturali: generalmente inalazione di Radon, ingestione di radionuclidi dal cibo e contributo dei raggi cosmici e di altri radionuclidi presenti nei materiali che ci circondano. Questo contributo varia molto a seconda degli usi e costumi locali, ad esempio case in legno e maggiormente ventilate trattengono meno Radon al loro interno, e dalla locazione geografica che può essere più o meno ricca di radionuclidi naturali o più ad alta quota, dove i raggi cosmici sono meno schermati dall’atmosfera.
Le cure mediche sono un’altra fonte di radiazioni ionizzanti a cui l’uomo moderno è sottoposto, che varia da 0.1 mSv di una piccola radioagrafia ai 20mSv o oltre di un trattamento radioterapeutico, e sono stimabili in media come 0.5mSv annui per abitante, così come altri contributi provenienti dal luogo di lavoro o dalle abitudini personali (i già citati viaggi aerei ad esempio).
Anche il fallout radioattivo dei test nucleari passati e dell’incidente di Chernobyl contribuisce alla dose annua, tuttavia decadendo sensibilmente di anno in anno nel 2010 costituiscono oramai una piccola frazione della dose totale assorbita, ovvero circa a 0.01 mSv annui a persona. Lo stesso studio riferisce, nei dintorni delle centrali, contributi dello stesso ordine (0.01mSv) provenienti dagli impianti, con picchi di 0.02 mSv annui in alcuni impianti, mentre esternamente ad altri impianti non vi è alcun misurabile contributo alla radiazione di fondo naturale (e quindi una dose inferiore a 0.0001mSv/y a persona).
Quindi, in luce di queste misure, le centrali nucleari, come ogni impianto che maneggia e utilizza radionuclidi, diffondono radiazioni nell’ambiente, tuttavia, grazie agli assidui controlli, queste radiazioni sono decisamente inferiore rispetto al contributo naturale e quello proveniente dalle altre attività umane.
Addirittura, a rigore scientifico, parlando di contributi alla dose annua assorbita da una persona le centrali nucleari non dovrebbero neppure venire citate: se si costruisce un tavolo con una precisione centimetrica non ha senso utilizzare strumenti che misurano contributi nell’ordine di decimi di millimetro, allo stesso modo considerando la dose totale assorbita annualmente da una persona, che ha fluttuazioni nell’ordine del mSv, non ha senso contemplare effetti centinaia di volte più flebili.
Può darsi che la generazione elettrica da fissione nucleare sia una fonte carbon free, ma considerando l’intero ciclo è ancora una fonte a basse emissioni di CO2 e di altri gas?
Risposta breve
Considerando tutto il ciclo, dalla miniera al decommissioning finale ed alle scorie il nucleare è una delle fonti che emette meno CO2 ed altri gas. La stima è difficile ma sicuramente comparabile, se non inferiore, con le emissioni di idroelettrico ed eolico.
Risposta lunga
Considerando tutto il ciclo, dalla miniera al decommissioning finale ed alle scorie il nucleare è una delle fonti che emette meno CO2 ed altri gas, comparabile, secondo molti studi, con le emissioni di idroelettrico ed eolico.
Dare una risposta mondiale ed univoca però è impossibile, dipende dalle scelte fatte nel computo imputato all’estrazione e arricchimento di Uranio, le due principali fonti di CO2 poichè necessitano molta energia e materie prime. Innanzitutto esistono miniere a diversissimo grado di arricchimento, miniere di altri materiali da cui si ricava uranio e sfruttamento di vecchi stok di uranio che sono riutilizzati (e che quindi non sono più assommabili ad emissioni odierne di CO2, essendo state emesse anche decenni orsono).
Ad esempio in Canada ci sono le miniere più ricche al mondo, in cui vi è uranio anche per il 40% del peso del minerale di partenza, estrarre 1t di uranio da quella miniera richiede quindi molta poca energia. In finlandia è in fase avanzata di studio l’estrazione di uranio dagli scarti produttivi di una miniera di zinco e stagno, questo uranio è catalogato come proveniente da sottoproduzioni minerarie, visto che non ha un grado di arricchimento tale perché il minerale di partenza sia considerabile minerale uranifero. In australia la più grande miniera di uranio, la Olympic Dam, non è una miniera di uranio, ma una miniera di rame da cui si estrae, come sottoprodotto, anche oro, argento, platino ed uranio. Un altra strada adottata è l’estrazione di U235 dai vecchi ordigni nucleari in dismissione. A seconda di come viene valutata la CO2 emessa da queste tipologie di estrazioni si può determinare un computo totale molto diverso.
L’altro processo che contribuisce in modo preponderande alle emissioni di anidride carbonica di una centrale nucleare è l’arricchimento dell’uranio. Tale processo infatti richiede molta energia, se si valuta l’emissione di CO2 media per kWh generato (quindi da tutte le fonti) il contributo è non trascurabile, tuttavia va considerato che gli impianti di arricchimento sono generalmente nei pressi di altre centrali nucleari rendendo quindi il contributo fisico di gran lunga inferiore.
In ogni caso, così come per le fonti rinnovabili, la CO2 emessa dall’energia nucleare deriva unicamente da sorgenti indirette riguardanti la costruzione e la manutenzione dell’impianto (di dimensioni contenute rispetto alle rinnovabili!), e non è quindi paragonabile alle sorgenti fossili che utilizzano la combustione, quindi la produzione di anidride carbonica, come risorsa energetica.
Data la difficile stima delle varie tecnologie e cicli del combustibile utilizzati per il nucleare, le stime per il nucleare sono fra le più disparate. Questi dati ad esempio (espressi in gCO2/kWhe) sono tratti dal volume “Il nucleare impossibile: perchè non conviene tornare al nucleare” e sono i dati estremi presenti nel volume per tutto il ciclo produttivo degli impianti: nucleare 6-156g (con la maggiorparte degli studi al di sotto dei 50g massimali), carbone 755-1200g, gas in ciclo combinato 385-680g, eolico 5.5-48g, idroelettrico 6.3-236 e fotovoltaico a 4-236g.
La Francia consuma il 40% della propria acqua per raffreddare i reattori nucleari?
Risposta unica
No, nel modo più categorico. Per raffreddare i reattori nucleari (o in genere le centrali termiche) è utilizzato principalmente il ciclo aperto per il raffreddamento, che non ha un consumo di acqua, visto che viene interamente restituita all’ambiente leggermente più calda. Quando però condizioni climatiche diminuiscono la portata del fiume sotto livelli stabiliti, entrano in funzione le torri di refrigerazione che comportano un piccolo ma effettivo consumo di acqua. Non potendo sapere con certezza tutta l’acqua francese, ma essendone conosciute solo stime più o meno attendibili, tratterò la risposta tramite stime parziali.
Ipotizziamo per assurdo che anche con il ciclo aperto tutta l’acqua sparisca nel nulla, quindi ci sia un consumo effettivo, a quanto ammonterà? Possiamo utilizzare come “acqua francese”, quella dei tre principali fiumi transalpini e compararlo col consumo del comparto nucleare, cioè utilizzare i fiumi Senna, Loira e Rodano, sulle cui rive oltretutto sorgono una trentina di reattori. La portata dei tre fiumi è rispettivamente (portata media): 500mc/s, 930mc/s e 1820mc/s, questi fiumi riversano nel mare quindi oltre 3200mc/s di acqua dolce mediamente per tutto l’anno. Alla fine dell’anno avranno riversato oltre 100 miliardi di metri cubi di acqua nel mare.
A quanto ammonta la richiesta di liquido del comparto elettrico francese? Anche considerando il normale termoelettrico a carbone o gas, abbiamo un fabbisogno di circa 40 miliardi di metri cubi. Il 40% quindi sarebbe reale, ma così non è. Di tutte le centrali nucleari francesi (i 40 miliardi comprendono infatti anche le normali centrali termiche), 18 sono sul mare (quindi, oltre un quarto delle nucleari non richiedono l’apporto di acqua dolce), sono stati poi considerati solo i tre principali fiumi francesi e non tutti gli altri, la portata di quei fiumi sarebbe poi ancora maggiore visto che ci sono i notevolissimi prelievi per l’agricoltura, poi il 97.5% (mediato nazionalmente fra ciclo aperto e ciclo chiuso con torri di refrigerazione) dell’acqua prelevata è interamente restituita all’ambiente. Come ultima considerazione, la somma dei vari fattori può essere anche maggiore del totale. Quindi il consumo effettivo di acqua è molto inferiore, stimabile sommariamente a molto meno dell’1% dell’acqua francese per il funzionamento di tutto il comparto termoelettrico transalpino.
Nel ciclo aperto tutta l’acqua è rilasciata all’ambiente, quindi in linea teorica la stesa acqua del Rodano che entra a Bugey può essere raccolta nuovamente a St-Alban, quindi a Cruas e poi infine a Tricasten, quindi il mc di acqua iniziale è stato contato 4 volte ma non è stato consumato.
http://www.physagreg.fr/Cours3eme/nouveau-programme/elec3/electricite3-chap4-besoin-eau-centrale-nucleaire.pdf
L’Italia acquista energia elettrica soprattutto di notte?
Risposta unica
No, contrariamente a quanto si crede non è così. L’acquisto di energia elettrica, come potenza istantanea assoluta, è tendenzialmente più alto di giorno (quindi le importazioni sono soprattutto di giorno), considerando però i fabbisogni alle varie ore della giornata, il picco di domanda percentuale sul totale della potenza assorbita è nelle ore notturne, ore in cui la potenza assorbita dall’estero diventa percentualmente molto più rilevante. In genere massimo e minimo della richiesta elettrica non sono molto differenti come valore assoluto nel corso della giornata, mantenendosi all’incirca su un valore stabile nel corso della giornata ma con notevoli differenze stagionali.
http://www.terna.it/LinkClick.aspx?fileticket=JRKDBL4Tz0E%3d&tabid=380&mid=442 pag 15
Dove acquisterà l’uranio per i suoi reattori? Dove lo arricchirà?
Risposta unica
E’ impossibile rispondere a priori e con così tanti anni di anticipo rispetto alla messa in opera del primo reattore, sia per l’italia che per qualsiasi nazione, quindi trattiamo per ipotesi (ma comprovate da lunga esperienza internazionale). Con il primo reattore previsto in funzione nel 2018-2020, ad oggi è impossibile sapere gli scenari futuri dell’uranio (ma anche del gas, del carbone, la cina si è infatti trasformata in 5 anni da grande esportatore a grande importatore di carbone, e negli ultimi anni il gas non convenzionale è diventato economicamente conveniente) e delle società interessate al ciclo del combustibile. Colossi come AREVA o Westinghouse potrebbero essere adombrati da un futuro colosso cinese o indiano, allo stesso modo lo scenario mondiale gli impianti di arricchimento di oggi è già previsto che sarà notevolmente riscritto da nuovi impianti e nuove tecniche (l’abbandono della diffusione ed i primi impianti di arricchimento a laser).
Nel caso che in Italia non venga avviata alcuna miniera, la materia prima sarà acquistata interamente sul mercato mondiale, allo stesso modo l’arricchimento per cui verranno fatti contratti con le società che gestiscono gli impianti di arricchimento, mentre per la fabbricazione del combustibile è ipotizzabile la creazione di un impianto nazionale (come lo fu al tempo l’impianto di Bosco Marengo).
Queste sono però trattazioni generali, è una via di rifornimento che è intrapresa da molte nazioni, la Svizzera acquista tutto il combustibile già pronto sul mercato, i paesi dell’europa dell’est acquistano tendenzialmente il combustibile dalla Russia che si contende il mercato principalmente con la Westinghouse.
Per un reattore EPR-Enel non si può però considerare unicamente questa strada generale, ad esempio il contratto dei due reattori cinesi di Taishan prevede anche 17 ricariche di combustibile per ogni reattore “comprese nel prezzo”, mentre per i due indiani sono comprese nel prezzo d’acquisto le ricariche di combustibile per i primi 25 anni. http://www.npcil.nic.in/pdf/news_07dec2010_Business_Line.pdf
Tutto quello che si può quindi dire è che……..non si sa il “nome della via” (inteso come: prendi in quella miniera, arricchisci lì, fabbrichi là), ma solo la “strada”: che sarà sicuramente quella dell’acquisto sul mercato mondiale.
Quanta acqua necessita una centrale nucleare da 1000MW?
Risposta breve
I bisogni d’acqua variano a secondo se è utilizzato un circuito aperto per cui è necessario indicativamente un flusso di 160 litri per kWh (in cui il liquido di scambio viene raffreddato con acqua corrente), mentre bastano 6 litri per kWh se il circuito è chiuso e riutilizza la stessa acqua nelle grandi torri di refrigerazione (ma di cui ne evaporerà un terzo).
http://www.physagreg.fr/Cours3eme/nouveau-programme/elec3/electricite3-chap4-besoin-eau-centrale-nucleaire.pdf
Risposta lunga
Come tutti gli impianti termici (centrale a gas, centrale geotermica), un impianto nucleare ha bisogno di una fonte fredda con cui termalizzare il lavoro termodinamico per trasformarlo in energia elettrica, questa è o un corso d’acqua o il mare. A seconda poi che ci sia una torre di refrigerazione o l’impianto sia a ciclo aperto, la richiesta di acqua è notevolmente differente.
Il ciclo aperto è quello in cui viene aspirata acqua dallo specchio d’acqua, passa per uno scambiatore di calore (una sorta di radiatore) dentro cui si scalda. Visto che per mantenere un rendimento elettrico alto non si può scaldare eccessivamente l’acqua, ne serve quindi una grande quantità. Considerando poi un impianto termico con efficienza attorno al 33%, servono circa 160L di acqua per la produzione di 1kWh di elettricità. Dopo il suo riscaldamento l’acqua è totalmente restituita all’ambiente e può essere usata per qualsiasi uso umano o per essere utilizzata per nuovi cicli termici.
Se la portata del corso d’acqua è molto irregolare o insufficiente, si utilizzano invece i cicli termici con torri di refrigerazione (le grandi torri “a fungo” diventate sinonimo di Nucleare nell’immaginario colletivo), queste consentono di asportare il calore tramite l’evaporazione dell’acqua, richiedono quindi molto meno liquido di partenza ma di contro c’è un consumo netto di acqua. L’impianto di refrigerazione richiede infatti circa 6 litri per kWh in entrata, ne restituisce all’ambiente solo 4 in forma liquida, gli altri 2 sono invece rilasciati come vapore acqueo dalle torri di refrigerazione (sono quindi considerabili come un vero “consumo” di acqua).
Con questi dati un impianto da 1000MW che produce 7TWh all’anno, richiede indicativamente 1.1 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, liquido che viene totalmente restituito all’ambiente e che può essere (nel caso di un fiume) essere utilizzata più a valle per un nuovo ciclo termico in un’altro impianto di generazione elettrica o per usi umani quali agricoltura o industria. Con torre di refrigerazione invece la richiesta scende a 42 milioni di metri cubi di acqua, di cui 14 milioni sono fatti evaporare.
http://www.physagreg.fr/Cours3eme/nouveau-programme/elec3/electricite3-chap4-besoin-eau-centrale-nucleaire.pdf
Questi dati sono però indicativi, infatti i consumi dipendono dall’efficienza termica dell’impianto, maggiore è l’efficienza termica, meno calore si deve dissipare nell’ambiente e quindi si necessita di meno acqua. A seconda poi della temperatura della fonte fredda la richiesta è differente, i futuri impianti negli Emirati Arabi richiederanno molta più acqua rispetto al nuovo impianto nel nord della Finlandia a parità di circuito di raffreddamento ed efficienza termica del reattore.
http://www.world-nuclear.org/info/cooling_power_plants_inf121.html
http://www.ucsusa.org/assets/documents/nuclear_power/20071204-ucs-brief-got-water.pdf
http://www.museoenergia.it/museo.php?stanza=80&ppost=670
Quanto incide il costo dell’uranio sul costo di generazione dell’energia elettrica?
Risposta breve
Poco. La componente “Uranio”, che è una delle parti della componente “Combustibile”, incide per una piccola frazione del costo totale di generazione dell’energia elettrica, stimabile negli Stati Uniti complessivamente a meno di 5$/MWh, rispetto ad una pari componente da fonti fossili che raggiunge i 50$ o oltre per quanto riguarda le centrali a gas o petrolio nel caso americano. http://www.eia.doe.gov/cneaf/electricity/epa/epat8p2.html
Risposta lunga
La componente “Uranio” incide per molto poco nel prezzo di generazione dell’energia elettrica da fonte nucleare. Dati WNA stimano che a Gennaio 2010 (http://www.world-nuclear.org/info/inf02.html) per produrre 1kg di Uranio-combustibile era necessario spendere circa 2500$, con un Burnup di circa 45.000MWd, questo equivale ad un costo di 0.71c$/kWhe (7.1$/MWhe) prodotto, il tutto partendo da 8.9kg di ossido di Uranio ad un costo di 115$/kg e con un arricchimento fra il 3.6 e 3.7%. Questo costo diventa una percentuale più o meno cospicua (in ogni caso marginale) del costo di generazione dell’energia elettrica da fonte nucleare a seconda dell’età dell’impianto, infatti un impianto giovane per motivi economici ha un maggior costo di gestione (e quindi un costo dell’energia prodotta maggiore) poichè deve ripianare il debito acquisito per la sua costruzione, un impianto invece già “ripagato” non ha questa componente e quindi il costo di produzione è molto inferiore e la generazione di elettricità è più economica.
Possiamo poi anche andare a vedere i prezzi alla fonte, suddivisi per costo del carburante, manutenzione ed operazione, delle centrali energetiche statunitensi. http://www.eia.doe.gov/cneaf/electricity/epa/epat8p2.html in questo caso vediamo che il nucleare ha un costo per il combustibile attorno ai 5 mills$/kWh (cioè 5$/MWh), e questo è comprensivo di costo dell’uranio (circa un terzo), arricchimento, fabbricazione combustibile. Il costo totale della fonte nucleare è poi sui 20$/MWh negli ultimi anni, quindi il combustibile (nella sua interezza) incide per il 25% sul totale con minime variazioni e l’uranio per meno del 10%. Al contrario per le centrali a gas, dove la materia prima combustibile incide per oltre 50$/MWh sul prezzo finale, che si attesta sui 60$/MWh, incidendo quindi per oltre l’80% sul costo finale dell’energia. Si nota quindi che piccole variazioni del costo della componente “gas” incidono molto sugli aumenti o sulle diminuzioni del costo dell’energia da quella fonte, piccole variazioni sulla componente “uranio” incidono molto poco sulla fonte nucleare (essendo la componente “uranio” solo una componente di “combustibile” per l’energia nucleare, mentre per la fonte fossile ne è l’intero costo). Il carbone ha avuto anche lui fluttuazioni di costo, però notevolmente inferiori rispetto ad altri combustibili fossili per la reperibilità e le grandi scorte in paesi politicamente stabili (gli Stati Uniti hanno le prime riserve mondiali di carbone).