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Lettera aperta agli "uomini che fecero l'impresa": i dottorandi della Statale di Milano (ma non solo)

Cari tutti,

come ben sapete, il 26-27 giugno scorso si sono tenute le elezioni dei rappresentanti dei dottorandi per il senato accademico, ed inaspettatamente ce l’abbiamo fatta. I dottorandi di Unimi hanno eletto il loro rappresentante, Tommaso Pedrazzini, dopo una rocambolesca rincorsa al quorum, fissato a quello che ritenevamo il difficile traguardo del 20%, e che dopo il primo giorno di elezioni sembrava una meta impossibile. Invece eccoci lì, in senato accademico, per la prima volta godiamo di un privilegio che pochi dottorandi in Italia hanno (e, lasciatemi dire, hanno conquistato).
Per quanto mi riguarda questo è un segno non banale che la comunicazione e l’attenzione, per quanto non sembri, in realtà fra i dottorandi c’è, pur con i particolarismi tipici di un mondo frammentato. Soprattutto significa che ora che tutti i dottorandi dell’unimi hanno un riferimento che non sia solo comunicato tramite passaparola, non può che aumentare e potenziarsi nella speranza di costruire una maggiore consapevolezza dei nostri numeri, qualità e forza.

Credo che lo scopo principale a cui i dottorandi devono aspirare, e per il quale la rappresentanza può fare molto, è un riconoscimento di status di categoria, all’interno dell’università ma soprattutto all’esterno. In una congiuntura come questa i dottori di ricerca devono imparare a vendersi sul mercato libero, e se questa ci sembra attualmente una missione impossibile è unicamente perché non abbiamo mai avuto il riconoscimento di categoria e il nostro status appare, ad andar bene fumoso, al di fuori dell’accademia.

Più in pratica (ma non troppo) mi permetto di scrivervi qualche mia idea sparsa di carattere generale, maturata nella mia esperienza di rappresentante, che verte principalmente sulle diverse inomogeneità di cui soffrono le scuole di dottorato che vanno calmierate e bachi che vanno corretti:

  • innanzitutto la gestione dei fondi e degli ospiti per le scuole non è sempre trasparente, e gli studenti non sempre hanno diritto di parola in quello che sono le principali attività delle scuole di dottorato. Questo genera disparità di tipo formativo e mina l'efficacia di una scuola come "punto di incontro" delle ricerche e studi individuali.
  • ci sono differenze sostanziali gli obblighi di ricerca e didattica (ed esterni), e la conseguente valutazione dell'operato, di dottorandi afferenti a diverse scuole. Questi obblighi rischiano di travalicare le logiche differenze indotte dalle diverse modalità di studio e lavoro in diversi ambiti, in tal caso minando il senso stesso di una esperienza dottorale. Questa  una materia estremamente delicata e complicata su cui agire, proprio perché delle più fondamentali e globali. Al fine di dare al dottorato il lustro che merita è necessario muovere qualche passo in direzione di una uniformità, ovviamente positiva, di oneri e onori dello studente. Se il "dottorato" è uno status, allora tutti i "dottorati" devono corrispondere a certi requisiti, che devono essere il più possibile elevati per fare in modo che il titolo diventi prestigioso. Questo non può fare altro che giovare alla qualità di ricerca e insegnamento degli indirizzi su cui siamo più carenti, ma anche all'università di Milano, e, complessivamente, al titolo di dottorato.
  • sbloccare i compensi, permettendo alle scuole di bandire assegni con corrispettivo sopra il minimo (o, ancora meglio, alzare universalmente il minimo), ovviamente senza chiedere incrementi di budget (che servirebbero, ma anche all'idealismo è necessario un minimo di realismo), potrebbe innescare un circolo virtuoso a vantaggio dello studente. Abbiamo l'enorme problema che Milano è una città costosa, e con un compenso allineato al prezzo di affitto di un 25mq non si attirano molti esterni. Anche questo è un punto di difficile attuazione, a causa di ovvi interessi, ma di competenza senatoriale e potreste trovare più alleati di quanti se ne possano sperare.
  • la rappresentanza all'interno dei dipartimenti si snoderà non solo attraverso il nuovo, potente ma enormemente dispersivo consiglio di dipartimento, in cui il rappresentante d'obbligo viene stemperato fra dozzine di altri (il nuovo consiglio di dipartimento a Fisica comprende circa 15 rappresentanti degli studenti, prima assenti). Ma specialmente attraverso commissioni e giunte. Sebbene chiarire il proprio ruolo e conquistare posizioni all'interno di questi organi è compito di ogni singolo rappresentante, almeno una indicazione deve venire dall'alto al fine di facilitare il processo. Il panorama "politico" all'interno dei dipartimenti è radicalmente cambiato nel corso dell'ultimo anno, e se da un lato abbiamo guadagnato una rappresentanza centrale rischiamo di perdere importantissima presa all'interno delle nostre realtà, in cui la nostra rappresentanza di diritto (cdip) viene conqusitata da un maggior numero di attori. La presenza in questi organi, che si delinea nei nuovi regolamenti che verranno approvati a breve, è fondamentale non solo per agire, ma specialmente per sondare il territorio, per rendere ogni rappresentante conscio della propria realtà, consapevolezza che può trasmettere ai suoi rappresentati o al rappresentante in senato e senza la quale diventa impossibile formulare proposte concrete e complete.

In senato sarà difficile conquistare voti e mantenere visibilità, rendendo la realizzazione programmatica di idee e iniziative come quelle sopra più simile ad una arrampicata che a una corsa ad ostacoli (non invidio di certo il compito di Tommaso!). Tuttavia ancora più difficile sarà la battaglia fuori dal senato, per organizzarsi tutti nel formulare proposte concrete e accattivanti, passo dopo passo, che garantiscano la fattibilità della proposta propugnando le esigenze dei dottorandi, perché non si può delegare a uno soltanto di realizzare tutto quello. Una "consulta dei dottorandi", che riunisca semestralmente i rappresentanti delle scuole, è un organo importante per veicolare necessità e problematiche, ma diventa veramente utile unicamente se ogni rappresentante diventa membro di un "gruppo di lavoro", non limitandosi a portare impressioni e bisogni, ma offrendo la sua visione ed esperienza, la sua testa e la sua penna, al fine di rendere l'università (ma non solo) un posto migliore per i dottorandi, e di riflesso i dottorandi una migliore risorsa per l'università (ma non solo).

Scusate quindi se sono andato sul sentimentale e retorico, ora che la mia rappresentanza giunge al termine subisco i sintomi della vecchiaia, ma a costo di sembrarlo ancora di più chiudo la lettera dicendovi di non pensare che la rappresentanza sia soltanto una delegazione di responsabilità. Al contrario, specialmente a questi livelli, la rappresentanza è una responsabilizzazione: ora non siete più una grigia ombra che si annida (se si annida) fra i meandri dei dipartimenti, siete una presenza in senato, presenza che è preciso compito di ognuno di voi tenere attiva.

Il sempre vostro,

Andrea

Comments

Comment by Federico on 2016-04-08 22:58:28 +0000

Hai ragione! A 5 anni di distanza, sono contento anch’io di avere ottenuto in commissione statuto che i dottorandi avessero un proprio rappresentante in Senato (https://web.archive.org/web/20120527081654/http://www.sinistrauniversitaria.net/index.php?option=com_content&view=article&id=308:i-nuovi-organi-di-governo-e-tutto-il-resto&catid=83:statuto&Itemid=131 ), alla luce dei risultati raggiunti in pochi mesi dal rappresentante attuale: http://formenti-unimi.it/2016/04/07/missione-compiuta-we-made-it/

Fino a poche settimane fa, però, tutto ciò sembrava impossibile e mi sarei dato dell’ingenuo!

Comment by Andrea Idini on 2016-04-18 10:58:41 +0000

Grazie Federico, è stato un bel periodo! 😉

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